Claudio Della Volpe, professore di chimica-fisica applicata UniTn in pensione, 13 aprile 2023
Farò qui considerazioni generali sui documenti che ho potuto consultare.
Un primo punto importante è che per le analisi Zulberti (la ditta di Bolzano che ha condotto alcune analisi sulle rogge di Trento Nord e il cantiere della relativa bonifica) in aria ed acqua si sono usati come valori di riferimento di bianco e come valori relativi ai luoghi interessati dei dati raccolti in periodi diversi e che paiono scelti apposta per ridurre l’impatto dei risultati. Infatti i “bianchi” sono stati raccolti in estate mentre i valori delle misure sono stati fatti in inverno.
Ora si sa dalla chimica-fisica che sia la tensione di vapore che la solubilità variano significativamente con la temperatura ambiente e che questa raggiunge e supera i 20 gradi in estate con i cosiddetti bianchi mentre scende a qualche grado sopra zero d’inverno. In particolare la tensione di vapore (misure in aria) sale in modo esponenziale con la temperatura mentre la solubilità (misure in acqua) cresce in modo proporzionale, almeno di solito.
Questo vuol dire che sia le tensioni vapore che le solubilità considerate e CHE SFORANO SPESSO I VALORI DI RIFERIMENTO sono state raccolte quando erano più basse mentre quelle dei bianchi quando erano più alte con evidente contraddizione analitica. E vuol dire anche che valori delle misure MINORI del bianco non significano nulla, in quanto ottenuti con tensioni vapore e/o solubilità inferiori a causa della temperatura, non già della presenza di materiale.
La cosa più logica sarebbe stata di effettuare confronti CONTEMPORANEI fra bianchi e riferimenti e valori di misura per minimizzare l’effetto ambiente; in questo modo invece si commette un errore sistematico.
Ed è da notare che nonostante questo errore sistematico che abbassa i risultati i valori sforano spesso il bianco e i valori di riferimento e di sicurezza, confermando dunque che c’è un serio problema ambientale.
In sostanza una scelta metodologica di questo tipo è inaccettabile in quanto impedisce di comprendere bene cosa succede quando le temperature sono maggiori e dunque sia la tensione di vapore che la solubilità degli inquinanti crescono; un errore di questo tipo obbligherebbe a ripetere le misure in condizioni consone.
Un secondo aspetto legato alla chimica-fisica si verifica nella considerazione dei problemi avvenuti in fase di cantiere pilota; il cantiere pilota riscontra ingresso di acqua dal fondo dello scavo, sia pur limitato a meno di due metri e al passaggio di materiali gassosi e di inquinanti nell’ambiente di lavoro.
Ovviamente tale effetto non potrà che crescere quando la profondità di scavo raggiungerà i venti metri e dunque le pressioni coinvolte aumenteranno proporzionalmente; inoltre la relazione dell’ing. Groff conferma che lungo le palancole avvengono passaggi di materiale; infatti come gli scriventi avevano fatto notare in occasioni precedenti la pressione di ritenuta nella zona di interfaccia fra palancole e terreno è bassa; nel caso in questione con uno scavo dell’ordine dei due metri parliamo di una frazione di atmosfera (0.2-0.3 atm); ma essa rimane bassa anche a qualche decina di metri che si può considerare la profondità alla quale un materiale particellare come il terreno raggiunge un valore critico e si differenzia dalla legge di Stevino per i liquidi; non si concepirebbe una pressione superiore in quel caso a un paio di atmosfere, che sarebbe anche la pressione di ritenuta lungo le palancole, e la pressione dei liquidi presenti.
E’ dunque da ritenere che i fenomeni di penetrazione della falda e di passaggio lungo l’interfaccia terreno- palancole di materiali potenzialmente tossici ed inquinanti possano aumentare o comunque permanere significativi con l’aumentare della profondità di scavo.
Si fa anche notare che le palancole hanno DUE facce e che quello che accade su l’una accade o può accadere anche sull’altra; se usando la palancola si fora lo strato impermeabile almeno parzialmente agli inquinanti il possibile passaggio si può verificare su entrambe le facce non solo in quella interna alla zona di lavoro, come riscontrato dalla medesima relazione di Groff, ma anche su quella esterna lungo la quale non esisterà però alcun monitoraggio.
Una terza considerazione di tipo chimico analitico può essere svolta a riguardo del piombo. E che può essere utile per comprendere la storia di questo piombo. Il piombo totale deriva dalla somma di piombo inorganico ed organico; in quest’ultimo si annovera il piombo alchilato (mono, di, tri e tetraalchile) proveniente dalla SLOI; non esistono infatti sorgenti naturali di piombo alchili; ma esistono forme naturali di piombo organico, che si formano dai cosiddetti acidi umici e fulvici presenti nel terreno. Quando l’analisi esprime il piombo usa le voci: piombo totale, piombo (che corrisponde al piombo inorganico) e piombo alchili. In questo modo si trascura che esiste una frazione di piombo che è stata incorporata nel piombo organico (che sarebbe la differenza fra piombo totale e piombo) e che è in genere significativa, ben superiore al piombo alchilato. Tale piombo umico o fulvico discende sia dal piombo inorganico che da quello alchilato ed introduce dunque una sorgente di incertezza nel comprendere la storia del piombo nel terreno. Questo impedisce di essere sicuri che il piombo presente nella zona Carbochimica se non è alchilato non sia però discendente da esso, non sia diventato umico o fulvico; una parte del piombo organico non alchilato può discendere dalla storia di alterazione del piombo alchilato oltre che dal piombo puramente inorganico; per comprendere questo occorre fare una analisi isotopica che differenzi i vari tipi di piombo. Se il piombo umico o fulvico ha una composizione isotopica significativamente diversa da quella del piombo inorganico o comunque più simile a quella del piombo alchilato che a quella del piombo inorganico questa è la prova del possibile passaggio del piombo dalla zona SLOI a quella Carbochimica/Lavisotto, come discusso in occasioni precedenti e provato, a parere dello scrivente, anche dall’aver trovato piombo alchili in almeno uno dei punti di prelievo Carbochimica/Lavisotto (come fu anche riconosciuto in una lettera scritta dal direttore APPA Rampanelli ad un giornalista).
Le ultime notizie sulle procedure e i risultati analitici riguardanti il progetto RFI della cosiddetta “circonvallazione di Trento” stimolano ulteriori riflessioni tecniche.
Anzitutto diventa sempre più evidente che chiamare “circonvallazione” un progetto che in buona parte taglia la parte nord della città di Trento costringendo addirittura ad abbattere un certo numero di edifici è un inganno logico; le circonvallazioni hanno lo scopo di evitare di far passare dentro il tessuto cittadino importanti percorsi di trasporto; qua non siamo in presenza, al più, che di una parziale circonvallazione e continuare a chiamarla così non ne cambia la natura di percorso di attraversamento.
A questo si dovrebbe aggiungere che essa è pensata per il trasporto di merci, NON DI PERSONE, è una TAC (trasporto alta capacità) non una TAV; ora delle merci trasportate lungo l’asta dell’Adige per ferrovia, una parte significativa sono merci pericolose, in termini di sicurezza dei trasporti, ossia a rischio incidente; i dati contano che il 7% dei 55 Mton trasportati siano definibili “pericolosi”, che corrisponde a oltre 3.5 Mton/anno. Esempi di piccoli incidenti o mancati incidenti nel corso degli ultimi decenni non mancano, basta guardarsi i giornali per trovare perdite di sostanze tossiche che si sono verificate (per mera fortuna) tutte in aperta campagna o in zone lontane dai centri abitati.
Una circonvallazione avrebbe dunque senso se effettivamente aggirasse la città evitando di farla attraversare da queste merci; ma se invece la mezza-circonvallazione in progetto ci passa dentro e per giunta in galleria, questo non risolve affatto i problemi di sicurezza, ma anzi li rende più complessi.
Una seconda riflessione si può fare sui risultati presentati in pompa magna e riguardanti la bonifica delle rogge, che è in corso; tale bonifica è attuata mediante una tecnica che scava in condizioni “confinate” un sottile canale (di qualche metro e profondo 3-4 metri) estraendo il materiale inquinato per depositarlo in una discarica opportuna.
RFI e la PAT e il Comune esaltano questo risultato sostenendo che anche lo scavo più grande della trincea della ferrovia fino a Roncafort sarà fatto con la medesima modalità.
Ora c’è da dire che questa cosa era stata già sottolineata da tutti i movimenti dei cittadini che avevano chiesto a gran voce perché le modalità di scavo proposte per la trincea non fossero già dichiaratamente di questo tipo confinato, come era ovvio che dovessero essere.
Infatti le concentrazioni di inquinanti che si ritrovano lungo le rogge non possono che essere inferiori a quelle delle sorgenti vere e proprie dell’inquinamento, del terreno del SIN in cui i depositi di piombo alchilato e di sostanza organiche sono notoriamente a concentrazioni superiori.
Detto questo ci si chiede come si potranno realizzare scavi di tipo “confinato” su una scala che in tutte e tre le dimensioni spaziali interessate è di gran lunga maggiore di quella delle rogge; si tratta infatti di uno scavo largo oltre dieci metri e profondo oltre 10 metri; le apparecchiature di scavo hanno una dimensione notevole e dunque anche l’altezza interessata sarà ben superiore a qualche metro, ragionevolmente di qualche decina di metri. Il dispositivo usato per “confinare” il lavoro delle rogge è notevolmente inferiore e dunque tutti i problemi di tenuta-confinamento, di resistenza alle intemperie (vento, pioggia) sono esaltati da queste accresciute dimensioni.
E’ da notare che già nella presente dimensione di confinamento i giornali hanno denunciato delle situazioni non consone, come la mancanza di tenuta del dispositivo testimoniato da vari testimoni oculari ma anche, secondo le dichiarazioni scritte rese pubbliche dei dirigenti provinciali, il fatto che si sono verificate risalite di acqua e di inquinanti in quantità significative e dispersioni di materiali soprattutto gassosi dato che manca una doppia porta di ingresso-uscita nel dispositivo di confinamento.
Cosa succederà quando la scala dello scavo diventerà molto più grande e dunque il meccanismo di confinamento dovrà crescere in proporzione? Queste cose non sono state chiarite.
Una ultima considerazione riguarda poi i meccanismi di tenuta scelti; nella operazione sulle rogge si è scelto di usare delle palancole, ossia delle lastre metalliche che delimitano la zona di scavo e limitano anche le operazioni di confinamento, lastre infilate per percussione. Ma quando la dimensione dello scavo crescerà le palancole non saranno certamente sufficienti e occorrerà costruire dei muri veri e propri; ora si chiede se anche i muri saranno costruiti in modalità confinata o meno e come saranno gestire le risalite LUNGO il muro sulla parte sia interna che esterna allo scavo: quest’ultima in particolare rimarrà al di fuori della zona di confinamento e seguendo i ragionamenti fatti prima sulla pressione di ritenuta c’è da aspettarsi delle risalite continue di materiali in zona non confinata.
Tutte queste domande rimangono al momento senza risposta.